La “Maddalena in riposo” della Chiesa di San Simeone Profeta in Alvito
[di FERDINANDO MARFELLA]
La figura di Maria Maddalena si presenta elegante, discinta o nuda coperta dei suoi soli capelli lunghi rossi o biondo cenere, a seconda se si voglia dare accento alla sua vita dissoluta o da penitente. Gli attributi sono il vaso contenente il nardo, a volte gioielli, il teschio, la croce e altri oggetti che contraddistinguono l’iconografia di altri anacoreti.
Santa Maria Maddalena si festeggia il 22 luglio, la sua figura è stata riabilitata nel 1969 dal Vaticano. La Maddalena è insita nella nostra cultura cristiana: la ritroviamo nelle chiese, in quadri, affreschi, vetrate. Eppure, nei Vangeli la incontriamo poche volte: un personaggio secondario della Bibbia, che compare di rado ma in momenti significativi per la cristianità.
Secondo i Vangeli, Maria era una donna di Magdala, fiorente centro ittico sul mar di Galilea, vicino Nazareth e Cana, dove Gesù compì il suo primo miracolo. Nonostante ella abbia vissuto in questi luoghi, non vi sono passi dei Vangeli che ne descrivano la presenza nella città nativa o nei dintorni.
Maria Maddalena è una delle seguaci di Cristo, il quale l’aveva liberata dalla presenza di sette spiriti, interpretati nel Medioevo come i sette peccati capitali, tra i quali la lussuria più caratterizzante la visione medievale della donna. Maria aveva unto il capo e i piedi di Cristo pochi giorni prima della Passione ed assiste alla crocifissione (dal Vangelo di Marco): la ritroviamo nella storia dell’arte sotto la croce come la donna più attraente dai capelli lunghi rossi disciolti oppure come la donna che più si lamenta e si duole per la morte di Cristo, nel momento più drammatico per la religione cristiana. Maria è anche la prima testimone della Resurrezione. Faceva parte del gruppo di donne (la Vergine Maria e Maria di Cleofa) che ritrova il sepolcro vuoto col sudario ripiegato. Maria Maddalena uscì piangente dal sepolcro e incontrò un uomo dall’apparente aspetto di giardiniere. L’uomo la chiamò “Maria!” e lei lo riconobbe: “Rabbuni!”. Cercò di inchinarsi ai suoi piedi per accarezzarglieli ma Cristo rispose con il ben noto “Noli me tangere!”: non avrebbe potuto toccarlo perché, non più un uomo, doveva ascendere al Padre.
Questo è quanto sappiamo di lei dai quattro Vangeli [1]. Gli artisti, nel corso dei secoli, hanno esercitato su di lei la fantasia in modi svariati anche in accordo con le committenze.
L’iconografia di Maria Maddalena segue la tradizione derivante dall’interpretazione di San Gregorio Magno (nella XXV omelia, del 590) il quale identificò Maria di Magdala sia con Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro, sia con la peccatrice che unse i piedi di Gesù nella casa di Simone il fariseo bagnandoli con le proprie lacrime di pentimento e asciugandoli con i suoi lunghi capelli[2]. Li profumò poi cospargendoli col nardo.
Anche Mario Equicola nell’Iter in Narbonensem Galliam attribuì a Gregorio Magno il travisamento della figura originaria di Maria Maddalena, confondendola con quella di una meretrice. L’identificazione non è presente nella tradizione della Chiesa d’Oriente, né nei testi tramandati dai Padri della Chiesa di Roma Ambrogio, Agostino e Geronimo.
Come santa, la sua figura era venerata in Provenza. La Legenda Aurea di Jacopo da Varazze narra che essa per sfuggire alle persecuzioni che infuriavano in Terra Santa, era giunta in Provenza con la sorella Marta, il fratello Lazzaro, il vescovo Massimino e la serva Sara, su un’imbarcazione priva di vele e remi. In seguito, il suo culto di origine provenzale si propagò a Napoli e nelle principali città del Regno, tra cui Sora e la sua diocesi[3], grazie ai sovrani Angioini (in particolare Carlo II e Roberto il Saggio) e agli Ordini Mendicanti che la elessero a protettrice: sia i Francescani che i Domenicani erano infatti legati alla santa, contemplata come esempio di devozione e pentimento. Il colore rosso delle sue vesti si deve proprio a San Tommaso d’Aquino.
In epoca medievale prevalsero raffigurazioni della Maddalena nei panni della mirofora, la profumiera che porta il nardo o la mirra al sepolcro. Dopo la Controriforma ebbe il sopravvento la figura della penitente, per la quale c’è l’ulteriore contaminazione iconografica con la figura di Santa Maria Egiziaca, anacoreta e prostituta redenta. Nella Controriforma si passa dalle scene di nudità umanistiche facenti riferimento all’età classica a raffigurazioni strettamente sacre della cristianità che però si cerca di aggirare ricorrendo a figure di angeli appena velati o alla copertura di Maria Maddalena con ampi panneggi.
Proprio alla raffigurazione della Maddalena penitente si riferisce il quadro presente in Alvito nella chiesa, già collegiata, di San Simeone Profeta “La Maddalena in riposo” (sec. XVII) restaurata a cura del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Soprintendenza di Roma per i Beni Artistici e Storici nell’anno 1987. Di proprietà della Confraternita della Buona Morte ed Orazione, l’opera – di autore ignoto – fu donata al pio sodalizio dal Duca di Alvito che ne era protettore.
Secondo la voce popolare, essa, destinata ad essere esposta nell’oratorio confraternale, venne fatta ritoccare dal pittore Gaspare Capricci (1713? - 2 maggio 1797) il quale, per verecondia, vi aggiunse due lunghe ciocche di capelli che dipartendosi dalla chioma fluente sulle spalle, scendono verso il seno della figura rappresentata coprendone in parte la nudità. Maria Maddalena è seduta in contemplazione nell’antro di una caverna che ricorda la Sainte Baume della Provenza, con riferimento a quanto riportato da Jacopo da Varazze nella detta Legenda Aurea. In alto a destra ritroviamo il vaso col nardo, il profumo o la mirra, che, quali attributi, concorrono ad identificarla. Il teschio in grembo simboleggia la contemplazione della morte espressa nel classico “memento mori”. Immersa nella lettura dei testi sacri, la Maddalena ha in viso un’espressione di beatitudine e dunque di redenzione, così come la croce imbracciata al gomito. La mano trattiene le trecce bionde al cuore. I lunghi capelli biondi sciolti ricordano la scena del Vangelo della casa di Simone il fariseo, dove aveva asciugato le proprie lacrime dai piedi di Gesù con quei capelli.Il seno scoperto ricorda il passato peccaminoso, così come il vestito gonfio sul ventre a mo’ di panneggio e il piede scoperto che emerge dalle vesti di color rosso rievocante passione e oro alludente alla santità legata al pentimento. In basso a sinistra alcuni sassi che vanno a formare delle figure a forma di cuore.
“Maddalena in riposo”. Autore ignoto, XVII secolo. Alvito, chiesa di San Simeone Profeta[4].
[1] - Matteo 26, 6-13; Marco 14, 3 - 9; Luca 10, 38 - 42; Giovanni 11,1 - 12,8.
[2] - Luca 7, 36 - 50. [3] - Napoli venerava la Maddalena, così come le città più importanti del Regno che erano centri di diffusione del culto vicini alla politica dei regnanti, con ostentazioni di reliquie e opere d’arte legate alla tradizione provenzale. Tra le reliquie custodite a Sora, secondo il Libro Verde custodito nell’Archivio della Curia vescovile e redatto agli inizi del XVII secolo, si annoverava una falange di un dito della Maddalena nella cattedrale. L’improbabile reliquia – analogamente a quelle descritte da Mario Equicola nell’Iter in Narbonensem Galliam – era conservata ancora nel Seicento nella cattedrale di Sora ed era preziosa per il legame alla casata angioina. Nella diocesi sorana nel Duecento erano anche intitolate alla Maddalena una chiesa e un monastero a Campoli Appennino e a Civita d’Antino. Il convento di S. Francesco a Civita d’Antino ospitò dall’inizio del Trecento la comunità clariana di S. Maria Maddalena documentata fino al 1421, mentre a Campoli, ancora nel 1609, è attestata la chiesa della Maddalena.
[4] - Riproduzione da: Tavernese V. “L’Insigne Collegiata e Parrocchiale di S. Simeone Profeta in Alvito”. Ass. Antares. Piedimonte San Germano (FR), 2012. Grafiche del Liri srl. Isola del Liri Tav. XVII, fig. 21.