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La musica al tempo di Isabella d'Este Gonzaga e di Mario Equicola

di GIACOMO CELLUCCI

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Isabella d’Este Gonzaga, marchesa di Mantova, è una figura cardine del Rinascimento italiano. Fu mecenate delle arti, donna colta, amante e protettrice delle Arti, commissionò opere che sono oggi segni distintivi dei musei italiani ed esteri, dando anche protezione ad artisti e letterati. Sotto i suoi auspici, la corte di Mantova divenne una delle più acculturate d’Europa. Mario Equicola ne fu precettore alla corte di Mantova, da lei impiegato per missioni diplomatiche e questioni di estrema fiducia fino a divenirne segretario personale nel 1519. All’età di 16 anni aveva sposato Francesco II Gonzaga, Marchese di Mantova. Prima del magnifico banchetto che seguì la cerimonia di nozze, Isabella guidò un corteo di servitori attraverso le principali vie di Ferrara in sella a un cavallo avvolto in gemme e oro. Fece il suo ingresso a Mantova nel febbraio 1490 prima dal fiume su un bucintoro dorato, poi su un carro con al seguito quattordici bauli ripieni della sua dote e dipinti dal pittore ferrarese Ercole de’ Roberti.

I marchesi di Mantova promossero la cultura e il mecenatismo, su spinta di Isabella che arrivava dalla corte di Ferrara molto raffinata ed evoluta, e promossero la presenza a corte di letterati.

Ella cercò continuamente di convincere Leonardo da Vinci a dipingerle un ritratto, ottenendo però solo un’opera preparatoria in carboncino: il disegno che la ritrae, eseguito dal maestro, fu realizzato a Mantova nel 1499, ed oggi è esposto al Louvre.

Mantova era al suo tempo una città di riferimento per la musica di corte sia per gli eventi più mondani, sia per eventi di natura diplomatica. La città accolse il compositore Bartolomeo Tromboncino e il cantore liutista Marchetto Cara, nonché autorevoli musicisti fiamminghi, maestri della polifonia sacra.

Isabella fu essa stessa una brillante musicista, e riteneva gli strumenti a corda, come il liuto, adatti alle dame, come scrisse nel 1517 in una lettera ad Anne d’Alençon del Monferrato, nuova futura parente acquisita con la promessa di matrimonio tra Maria Paleologa e l’adorato figlio Federico. Isabella considerava gli strumenti a corda superiori ai fiati, che lei associava al vizio e al conflitto. La poesia era da lei considerata incompleta finché non veniva trasposta in musica, e cercò i più abili compositori dell’epoca per tale “completamento”.

L’amore per la musica, trasmessole dal padre, il duca di Ferrara Ercole I, appassionato musicofilo, fu sviluppato in maniera originale da Isabella nei primi anni mantovani. Per imparare a suonare il liuto e migliorare il canto chiese al duca di poter studiare con i maestri Girolamo Sextula, Johannes Martini e Giovanni Angelo Testagrossa. Con amore della musica perfezionò l’uso del liuto e del canto. Sotto la loro guida, Isabella imparò a musicare le diverse forme di musica popolare (strambotti, frottole, barzellette) allo stesso modo dei sonetti, da lei insaziabilmente ricercati per metterli in musica o per cantarli. La passione per la musica la portò ad avere Marchetto Cara al suo servizio, dal maggio 1494. Pietro Bembo inviò a Mantova degli strambotti inediti, dopo la sua visita del 1505. Isabella era in aperta competizione con la cognata Lucrezia Borgia nell’arte del canto e nella composizione delle frottole: la rivalità tra le due era ben nota ed andava ben al di là della competizione nel campo musicale, infatti è ben nota l’impresa del silenzio indossato da Isabella quando Lucrezia arrivò a corte a Ferrara per sposare suo fratello Alfonso [1].

 

La musica sacra

La musica più importante e in voga tra Quattro e Cinquecento, al tempo di Isabella d’Este, era quella sacra, o sua derivazione, dei maestri fiamminghi, soprattutto della scuola di Notre Dame. Essi codificarono tramite il canone la composizione polifonica (polis = più, fonè = voce), basata sull’imitazione. Il canone (parola che deriva dal greco kanon, vale a dire legge, regola) è una composizione contrappuntistica (punctum contra punctum = nota contro nota) che unisce a una melodia una o più imitazioni, che le si sovrappongono progressivamente. Una voce, definita antecedente o dux, inizia la melodia mentre quella o quelle che seguono vanno sotto il nome di conseguenti o comites.

Ne esistono varie forme di canone: inverso, retrogrado, mensurale. Alcuni hanno associato al canone l’immagine di un “cane che si morde la coda”.

I fiamminghi portarono il canone al suo massimo sviluppo, esaurendone tutte le possibilità e codificandone un gran numero di varianti (diretto, per moto contrario, retrogrado, inverso, inverso-retrogrado, mensurale, alla mente, enigmatico). Un esempio spettacolare può essere dato da Bach con un canone enigmatico a 6 voci.

I fiamminghi innovarono le forme del passato come la messa (costruita sulle varie parti dell’ordinarium: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei). Guillaume Dufay fu il primo grande compositore della scuola fiamminga che introdusse la cosiddetta messa ciclica, in cui ogni parte dell’ordinarium missae ha lo stesso tenor. A volte veniva preso da altre composizioni e addirittura da canzoni profane (famoso il tenor de “l’homme armé”, canzone popolare attribuita a Robert Morton).

 

Il mottetto è il diminutivo di “motto”, derivante dal francese mot (parola). Il mottetto nasce come composizione musicale nella Scuola di Notre Dame, esso è una forma polifonica vocale (o vocale e strumentale) da eseguire in ambito liturgico.

Le principali caratteristiche del mottetto sono:

  • Autonomia delle parti. Ciascuna delle tre voci procede con un’identità musicale propria; il tenor, spesso di derivazione gregoriana nei mottetti liturgici, è a valori larghi; il duplum appare più agile e mosso e il triplum propone un andamento fiorito e melismatico.

  • Politestualità. I testi delle voci sono spesso differenti e talvolta utilizzano lingue differenti. Il mottetto privilegia il gioco sonoro polifonico, rinuncia a rendere comprensibile il messaggio linguistico.

  • Utilizzo della musica ficta (note con alterazioni).

In seguito, il mottetto si sganciò dall’occasione liturgica, aumenta la sua complessità strutturale e si apre all’uso di testi anche in volgare. La complessità musicale del mottetto deriva dall’uso della politestualità che col tempo lo rendeva inadatto alla preghiera in quanto il testo diventava incomprensibile per i fedeli.

 

L’esempio tipico di composizione di incredibile complessità è il mottetto “Deo Gratias” di Johannes Ockeghem, a 36 voci a parti reali (cioè senza alcun raddoppio di voci): un vero e proprio grattacielo sonoro, che qualcuno ha paragonato alle guglie delle cattedrali gotiche.

Curiosità: la complessità del mottetto è riportata anche nel dialetto napoletano in cui il termine (“muttiette”) intende un eccessivo cerimoniale senza andare alla concretezza di una cosa.

L’ultima tra le forme più frequenti della musica fiamminga del ‘400 fu la chanson profana, a carattere amoroso e di derivazione francese. Essa è a tre voci ed è caratterizzata da una polifonia molto semplice. Con essa i compositori si affrancano da uno stile rigido medievale che la affiancava a forme convenzionali di corte come il rondò, il balletto e il virelais, per sperimentare forme più libere improntate sul realismo della poesia popolare, facendo uso anche di effetti onomatopeici.

Il più grande compositore fiammingo fu Josquin des Prez, definito il Michelangelo della musica, seguito da Clèment Janequin, che con le loro “chanson” descrittive passavano da composizioni palesemente licenziose a tenere canzoni d’amore che descrivono gli inganni amorosi e il tormento dovuto alla separazione. Josquin Desprez si dedicò anche alla musica profana. Alcuni suoi componimenti sono infatti dal punto di vista stilistico delle frottole di cui si parlerà in seguito.

 

La musica profana

Accanto alla musica sacra, nel Rinascimento, si svilupparono diverse forme polifoniche su testi poetici in volgare o in dialetto, di stile popolaresco. Fu il periodo ad esempio dei canti carnascialeschi, del balletto, della villanella. Nella corte di Mantova, ma anche a Ferrara, fiorì una composizione di argomento amoroso e vivace chiamata frottola della quale Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino furono grandi promotori. Questo avvenne soprattutto per il mecenatismo culturale instaurato alla Corte dei Gonzaga dalla marchesana Isabella.

Tale composizione giunse ai grandi centri come quelli di Firenze e Venezia grazie anche attraverso opera a stampa di Ottaviano Petrucci da Fossombrone, il primo editore a pubblicare musica polifonica stampata.

Egli produsse dal 1504 al 1511 ben 11 libri di frottole. Nel 1509 stampò a Venezia, capitale della stampa dell’epoca, anche i libri di frottole di Franciscus Bossinensis. I libri furono stampati anche a Fossombrone nel 1511 seguendo il suo metodo a “tripla impressione”, consistente in tre fasi successive: prima veniva impresso il rigo musicale, in seguito le note e altri simboli musicali, infine il testo letterario. La sua prima raccolta di musiche stampate a caratteri mobili fu l’Odhecaton (il cui titolo completo è “Harmonice Musices Odhecaton”) del 1501. Il termine deriva dalle parole in greco: odè (canzone) e hekatòn (cento): il titolo quindi vuol dire “Cento canzoni di musica armonica”. Grazie a questo metodo a stampa vi fu ampia diffusione delle sue opere in tutta Europa rispetto alle opere con spartito manoscritto, copiato a mano, con frequenti errori di copiatura.

In campo musicale, la frottola fiorì soprattutto alle corti di Mantova e Ferrara, con massimo sviluppo tra il 1470 e il 1530. La frottola è il genere predominante di canzone popolare italiana nel corso del Rinascimento il cui termine deriva dal latino “frocta”, cioè un insieme di detti sentenziosi, modi di dire, scherzi di parole, locuzioni dialettali con carattere amoroso e pastorale. A Napoli, era chiamata gliommero.

Generalmente essa è una composizione per tre o quattro voci, con la voce dal tono più alto che conteneva la melodia (Superior o Cantus), quella del basso a valori larghi e le intermedie che fungevano da riempitivo armonico. Spesso si avvaleva di accompagnato da parte di uno strumento musicale che andava a sostituire alcune delle voci (il tenor e il bassus). Il liuto era lo strumento prediletto da Isabella d’Este. Il componimento ha generalmente una rima (o ripresa) ripetuta alla fine della strofa, chiamata stanza. Musicalmente, la frottola evita la complessità della scrittura contrappuntistica, preferendo la semplicità della musica omofonica, un ritmo chiaro e ripetuto e una melodia lineare. Lo stile è fortemente sillabico e declamatorio (non mancano però fioriture melodiche e melismi). Si ricorre anche all’hemiola (variazione dell’accento ritmico all’interno di un dato tempo). I più famosi compositori di frottole furono Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino.

Marchetto Cara fu uno dei maggiori compositori di frottole e fu attivo sia a Mantova presso la corte dei Gonzaga sia a Firenze presso la corte dei Medici. Acquisì fama sia come compositore che come cantore e suonatore di liuto. Nel 1494 era già alle dipendenze della famiglia Gonzaga a Mantova, e vi rimase, salvo brevi interruzioni per esibirsi in altre città, per tutto il corso della sua vita. Egli compose musiche per matrimoni, cerimonie ufficiali e per le feste di corte. Egli scrisse anche alcuni pezzi di musica sacra fra cui un Salve Regina a tre voci e sette laudi spirituali.

Bartolomeo Tromboncino fu un trombonista, come evoca il suo cognome, figlio d’arte, e compositore di frottole e cantore al liuto. Nel 1499 scoprì la moglie in flagranza di adulterio e la uccise. Lasciò dunque, nel 1500, Mantova. Le sue capacità di compositore gli fecero accattivare la simpatia della mecenate Isabella d’Este che gli consentì in seguito di ottenere la grazia per i suoi misfatti.

Per quanto profana, questa musica era chiamata “reservata” perché solo nella corte possono praticarla, lontani dalle pratiche popolari degli strumenti a fiato, dalla volgarità di un popolo, che è tenuto a distanza proprio dall’impossibilità di comprendere e far proprio un linguaggio, legato a culti misterici dell’antica scienza ermetica, alla filosofia neoplatonica. Mario Equicola ne era addentro grazie alle influenze culturali ricevute da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola; ne fu inoltre promotore ed esponente in diverse sue opere in latino, destinate a potenti dell’epoca. Franchino Gaffurio nella sua opera “Practica Musicae” (1496) fece derivare la musica reservata dall’unione dei contrari, sotto alla base dell’Armonia delle Sfere Celesti. Isabella d’Este si poneva al centro di quell’armonia celeste, facendola discendere nella sfera mondana, in terra fra i suoi nobili ospiti e cortigiani.


[1] William F. Prizer, “Isabella d'Este and Lucrezia Borgia as Patrons of Music: The Frottola at Mantua and Ferrara”, Journal of the American Musicological Society, Vol. 38, No. 1 (Spring, 1985), pp. 1-33.

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